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UNMAKING

09.03.23 — 16.05.23

Dal 9 Marzo al 16 Maggio 2023 la Galleria Mario Iannelli è lieta di presentare la mostra collettiva “UNMAKING” che espone una selezione di opere di Stanislao Di Giugno, Paula Doepfner, Panos Famelis, Schirin Kretschmann, Nathan Peter, Mimmo Rotella, Diana Sirianni, Yorgos Stamkopoulos e Marianna Uutinen.

 

Il titolo fa riferimento all’attitudine degli artisti invitati a un “disfare” che crea la forma e che sperimenta i limiti del supporto, della materia, dello spazio e del tempo all’interno di un continuo processo di decostruzione e ricostruzione messo in atto nell’opera.

 

Tim Ingold nel suo libro “Making” che indaga gli ambiti antropologici della creatività che mettono in stretta correlazione l’artefice al materiale utilizzato, pone una distinzione tra due obiettivi che l’artefice può scegliere: la preservazione della forma attraverso la costruzione o la continuità del processo attraverso l’esperienza.
Quest’ultimo, secondo l’autore, è il fine tipico di un fare artistico, mentre il primo è quello dell’artigianato, del design e dell’architettura.
“La forza dell’opera consiste proprio nelle energie che emanano dai materiali nel loro muoversi, crescere e decomporsi, e nei fugaci momenti in cui essi si radunano diventando una cosa sola. Sono i materiali a persistere, non le forme più o meno transitorie che essi assumono”.
Nelle proposizioni di Ingold potremmo cambiare “materiali” con “processi” senza perdere il significato originale.
Come immagine l’autore porta ad esempio una fotografia di un fascio di ramoscelli gettati in aria in un paesaggio fra mare, terra e cielo, un gesto irripetibile come il gesto che apre la mostra, lo strappo di un cartellone pubblicitario di Mimmo Rotella, che nelle parole dell’artista aveva il significato di “protestare contro una società che aveva perduto il gusto del cambiamento e delle trasformazioni favolose”.
La mostra espone otto artisti di generazioni successive a Rotella il cui lavoro si confronta con dinamiche sociali diverse a seconda del tempo preso in considerazione.
Gesti prima rivoluzionari ora sono liberi di essere ed interpretare il mondo.
Nella geometria frattale disegnata dalle opere della mostra gli strappi di Rotella si rapportano alla natura delle opere degli artisti contemporanei per mezzo dello svelamento della simultanea presenza di piani, di scarti che diventano tracce o infinite riconfigurazioni spaziali, scavi o rilievi, lacerazioni o aperture, sostanze organiche o plastiche, che manifestano quello che c’è dietro all’immagine strappata, il destino duale della materia, il fare e disfare che sono parte di uno stesso processo umano quanto culturale.

 

L’opera di Mimmo Rotella è un décollage realizzato nell’ultimo periodo della sua attività che raffigura una “Marylin”, soggetto ripreso dall’arte pop ed iconico dell’opera dell’artista sin dai primi anni del suo lavoro. Lo strappo e la successiva lacerazione del manifesto sono un gesto singolare quanto universale nel quale risiede l’autenticità artistica, un “nuovo realismo”.

 

Al décollage di Rotella si rapporta la pittura astratta di Yorgos Stamkopoulos che ritrova attraverso un décollage di materie plastiche e stratificazioni pittoriche tutto il sapore e l’aspetto delle textures dei manifesti urbani lacerati, riproducendone la sensibilità sinuosa delle linee, dei frammenti isolati e randomici, le cancellazioni, le abrasioni, i graffi, gli scrostamenti come nei retro d’affiches, le campiture monocrome strusciate e la tela lasciata vergine non finita in cui contrasta una danza cromatica disintegrata, percorsa da differenti rilievi che creano una tridimensionalità dell’immagine.
Stamkopoulos presenta due nuove opere: un quadro astratto e una scultura inedita in bronzo. Nella sua ricerca pittura e scultura dialogano pur restando medium autonomi. Un particolare della pittura può diventare il soggetto scultoreo come la materializzazione in allumino di una linea dipinta con la vernice spray o la fusione in bronzo di scarti del processo pittorico.

 

Stamkopoulos, Kretschmann e Di Giugno hanno già esposto insieme in precedenti progetti collettivi, per l’attitudine della galleria a partire dai concetti in vista di espandere la ricerca. Stamkopoulos e Kretschmann hanno partecipato sia alla mostra “Cast”, sia insieme a Di Giugno alla mostra “Monochromes”, progetti che hanno indagato sui concetti di calco e di monocromo.

 

Stanislao Di Giugno presenta in questa mostra delle opere mai esposte che fanno parte della sua ricerca che comprende sia la fase pittorica che quella plastico-scultorea.
La prima sviluppa un sistema di sovrapposizioni che sembrano disfare il lavoro precedente, talvolta coprendolo completamente ma lasciandone sempre una traccia. La seconda ha una funzione prettamente spaziale attraverso l’elaborazione di forme spigolose e aggettanti ma anche una matrice concettuale poiché recupera oggetti di scarto, come componenti di automobili o in questo caso riviste d’arte, in cui ha creato un’immagine astratta tridimensionale sfruttando lo spazio intagliato, dove si riconoscono frammenti di immagini in mezzo a campi pittorici e piani scultorei imprevedibili.

 

Il lavoro di Schirin Kretschmann si confronta con la de-costruzione e la ricostruzione nello spazio e attraverso i materiali. Nelle sue opere in cui applica pigmenti grassi riutilizza il materiale scartato raccogliendolo in vetri da laboratorio dando luogo ad una performance continua nel tempo. Stati transitori dell’opera quali il non ancora o il non più, il quasi, il non fatto o il mai fatto sono strettamente connessi al tempo reale proprio dell’artista e del processo materiale.
L’opera in mostra espone i frammenti di muri dipinti che l’artista ha collezionato dopo la rimozione dei suoi lavori site-specific.

 

L’opera di Paula Doepfner si inserisce nel concetto della mostra per la distruzione e la ricostruzione di un’immagine sublimata in cui vi è una riconciliazione degli opposti e che rimanda ad una metamorfosi. Dalle opere in cui il ghiaccio si scioglie liberando il suo contenuto, una poesia, una pianta essiccata, quali metafore di coscienza, alle opere in cui testi scritti in caratteri minutissimi a mano si incrociano fondendosi in trame di pensiero e reti neurali, fino a quelle che compongono un’irripetibile armonia di pittura e materia organica sopra alle crepe dei vetri blindati a cui appartiene il nuovo lavoro in mostra basato anch’esso come gli altri cicli su disegni di scansioni cerebrali e più in generale su una ricerca che ingloba arte, letteratura, filosofia e neuro-scienza.

 

La Galleria ha il piacere di presentare per la prima volta in questa occasione il lavoro di Panos Famelis, Nathan Peter, Diana Sirianni e Marianna Uutinen.

 

Nel lavoro di Panos Famelis de-costruzione e ricostruzione sono facce della stessa medaglia come la pittura e scultura sono interconnesse in quanto appartengono ad un medesimo processo alchemico di produzione della materia che dà luogo ad un’arte puramente performativa.
Dipinti e sculture a parete consistono del colore ad olio utilizzato e prelevato in altre opere che circolarmente riappare in nuove forme.
La sua ricerca si relaziona particolarmente con quella di Kretschmann perché la materia è la protagonista principale di una performance ma si distingue per l’interesse a indagare le trasformazioni della materia all'interno del processo creativo mentre nell’altro caso viene maggiormente cercata la trasformazione dell’ambiente dell’opera.

 

Nathan Peter presenta un nuovo lavoro pensato per lo spazio della galleria e per la mostra che appartiene alla sua pratica che trasforma il supporto in oggetto. Nei suoi lavori in cui ne testa i limiti fino alla vertigine, la materia della tela viene de-costruita per rivelarne una struttura con nuove tensioni. Come in una scultura lo scavo porta in rilievo un equilibrio essenziale trovato tra luce e forma. Il disfare è parte integrante dell’opera che non è solo dipinta.
Il lavoro esposto è un’unica tela di lino sospesa dall’alto al centro dello spazio per ricercarne l’appropriata tensione spaziale e visuale da entrambe i lati e si rapporta come fosse un reperto archeologico alla luce di Roma che attraverso le finestre la intersecano, una sensazione accentuata dai riflessi cangianti delle sfaccettature della tela.

 

Le opere di Diana Sirianni sono collage tridimensionali che l’artista elabora in installazioni immersive mentre nella loro forma più contenuta a parete appaiono come dei teatri di ridotte dimensioni.
Nelle sue perfomances nello spazio urbano attiva e ricostruisce la scena di un lavoro in corso, manipolando l’immagine con interventi pittorici, fotografici ed installativi.
Il ciclo di lavoro esposto in mostra che ritrae il work in progress di una mostra personale dell’artista esprime la visione di un’infinita potenzialità dello spazio-tempo di de-costruirsi e ricostruirsi, in un lavoro successivo o in un nuovo spazio, attraverso materiali riciclati dal proprio stesso lavoro, utilizzati per motivi strutturali e percettivi, frammenti di foto di opere, legno, metallo, fili di nylon, vetro, pittura acrilica ed elementi trovati, che registrano movimenti del corpo e cambiamenti di prospettive suggerendo l’interconnessione del tutto. Da una riflessione sul mezzo e sulle sue strutture, negli ultimi anni il focus del suo lavoro si è esteso all'indagine delle strutture sociali e su come possano essere ricostruite mediante la pratica terapeutica somatica.

 

La serie di lavoro di Marianna Uutinen benché non recente è significativamente rappresentativa della sua ricerca. Sin dagli anni Novanta Uutinen ha espanso il campo della pittura verso la scultura e l’installazione ponendo sempre al centro la materia e il processo.
Nelle opere di questo ciclo sono utilizzati colori sgargianti, quali il viola, il rosa, l’argento e l’oro e i volumi delle increspature delle materie plastiche sono il risultato di un procedimento di de-costruzione e ricostruzione. Queste sono prima dipinte con gesti espressionisti con un colore nero contrastante ed assemblate successivamente su un’altra tela come fossero un’"immagine vivente” od una materia organica, una pelle in cui il sé dell’artista incontra l’altro e l’osservatore può desiderare di essere parte dell’opera.

 

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